Turismo
10/02/2016
I FANTASMI DI SAN PIETROBURGO
San Pietroburgo poggia su 100.000 scheletri. Tanti sono i cadaveri degli operai che ci lasciarono le penne durante la sua edificazione e che furono sommariamente sepolti tra le fondamenta in costruzione. E' dunque possibile che anime senza pace, ancora sbigottite da morti violente, stiano ad aggirarsi tra le architetture barocche, neoclassiche o neobizantine della città.
Di sicuro gira la voce che dalla statua di Pietro il Grande si stacchi ogni notte il suo fantasma, che rimane in giro fino al primo chiarore del giorno. E' uno spettro ciclopico, visto che Pietro era alto due metri, e viaggia sollevato dal suolo. E' uno spirito da compagnia giacché ama le taverne seminterrate, ma è meglio evitarlo quanto tiene in pugno una pinza. Nonostante la mole pare che lo zar avesse mani abilissime per lavorare il legno come un falegname, per sbalzare la pietra come un marmorista, per cavare i denti come un medico. Per l'estrazione dei denti Pietro aveva una vera passione: i cortigiani fuggivano quando lo zar fissava la loro bocca e dopo la morte venne trovato nella sua camera un sacco pieno di molari e canini.
In estate il fantasma ha poco tempo per vagabondare. Il cielo mantiene una patina gialla fino alle undici di sera, poi diventa blu come il catarro di una sirenetta della Neva. Alle tre del mattino le prime strisce diafane dell'alba intaccano quel blu ed allora Pietro torna alla sua statua. D'inverno, invece, il pomeriggio si veste presto da sera e l'aurora si alza molto tardi, come una ragazza che abbia poltrito nel letto: Pietro se ne può stare a lungo a gozzovigliare per bettole.
La statua si trova nella piazza del Senato, a lato dell'imponente palazzo dell'Ammiragliato, quello con la guglia dorata che si vede da ogni parte della città. Fu fatto erigere da Caterina II^ nel 1766. Il monumento comunica un senso di grandezza e al contempo di dinamismo, grazie al colossale basamento e al cavallo appoggiato solo sulle zampe posteriori. La base, del peso di 1600 tonnellate, è un blocco di granito portato dalla Carelia: il trasporto, che venne effettuato su rotaie di legno e su una smisurata zattera fluviale, durò due anni.
Aleksandr Puskin denominò la statua “Il Cavaliere di bronzo” e le dedicò una composizione in cui il complesso equestre si staccava dal piedistallo e prendeva a galoppare per il centro abitato. Il poemetto narra di Eugenio, un povero impiegato che nell'inondazione della Neva del 1825 perse la fidanzata Parascia. L'alluvione fu apocalittica: la Neva, che a San Pietroburgo è alla foce, “s'era scagliata tutta notte contro il mare” e “quando non ebbe più forza di lottare, rifluì indietro, irosa e turbolenta”. Il fiume tracimò, “i flutti entrarono come ladri dalle finestre” e le barche sfondarono vetrate. I ponti furono divelti e le bare, disseppellite dal cimitero, nuotarono per le strade.
Quando la Neva si ritrasse Eugenio corse alla casupola periferica della sua Parascia: trovò solo i salici del giardino. Puskin ci racconta allora che l'inconsolabile Eugenio divenne un barbone e che un giorno ristette sotto la statua di Pietro. Ad un tratto l'ex impiegato alzò il pugno minaccioso verso lo zar e gli rimproverò d'un fiato la follia di aver voluto costruire una città in riva ad un fiume assassino.
Il bronzo allora si mosse e i muscoli del cavallo furono percorsi da un fremito. Pietro, corrucciato e irritato da un ometto che non riconosceva la bellezza dei palazzi pietroburghesi, spronò il destriero a inseguire Eugenio. Braccò il malcapitato davanti alla cattedrale in costruzione di Sant'Isacco, con la cupola che si stava indorando, poi lungo il corso d'acqua Mojka, poi innanzi all'Ermitage dalla lunga facciata verde giada/turchese/bianco splendente.
Il cadavere di Eugenio venne trovato arenato contro un'isoletta delle Neva.
Nikolaj Gogol' ci avverte che non dobbiamo meravigliarci se incontriamo in qualche luogo di San Pietrroburgo un'uniforme ricamata in oro, con tanto di spada al fianco e con solo un grande naso a spuntare dal collo rigido. E' il naso del maggiore Kovalev che un giorno decise di divorziare dal viso che lo ospitava.
“Il maggiore Kovalev aveva l'abitudine di passeggiare per la Prospettiva Nevskij. Il colletto del suo sparato era sempre pulitissimo e inamidato. Basettoni gli percorrevano una buona metà della guancia e si congiungevano direttamente al naso”. Già......al naso. Il naso che una mattina sparì dal volto lasciando una superficie completamente liscia.
Il naso venne avvistato dentro una carrozza, ebbene sì, a forma di occhio, poi sulla Prospettiva nel negozio di Junker, poi nel giardino di Tauride. Un gran numero di curiosi si spostava in blocco nei luoghi delle apparizioni.
Ancora oggi capita di vedere drappelli di uomini e donne trasferirsi d'improvviso verso una chiesa dalla cupola a cipolla o verso una piazza alberata da larici siberiani: sembrano stormi di uccelli in movimento nel cielo. Qualora ne vedessimo uno, possiamo accodarci. Si coglierebbe la probabile occasione di ammirare un naso vagante e ben vestito, giacché, come dice Gogol', “simili eventi capitano a questo mondo; raramente, ma capitano”.
Tornando a Pietro il Grande è noto che avesse una perversa predilezione per le brutture del genere umano. Aveva un'ossessione per le persone colpite da nanismo e ne impiegava come giullari o semplici fenomeni da baraccone. Per il suo matrimonio organizzò un corteo nuziale formato da 70 nani in abiti nobiliari, che giunsero in città su una carovana tirata da pony. Al banchetto vennero fatti accomodare a tavoli in miniatura al centro della stanza.
Nella Kunstcamera, palazzo turrito sul Lungoneva, Pietro accantonava poi in giganteschi barattoli di vetro dei feti, dei mostriciattoli dalla genetica impazzita, dei brandelli anatomici resecati. Li acquistava da ogni parte del mondo ed aveva anche promulgato un editto in cui chiedeva alla popolazione russa di spedirgli ogni feto deforme per aggiungerlo alla sua raccolta.
Uno dei pezzi pregiati della collezione è tuttora la coppia di bambini siamesi uniti per le gambe. In un grande cilindro trasparente due gemelli si affiancano perfettamente suddivisi dai bacini in su, ma le quattro gambette sono fuse in una coda di sirena, con l'estremità a forma di cuore. Sono conservati in un liquido di mantenimento verdastro la cui formula ancora segreta fu ideata dall'anatomista olandese che vendette il reperto.
Un custode della Kunstcamera rifersice di aver visto un pomeriggio i gemelli sul parapetto di un ponte dalle parti della Fortezza dei Santi Pietro e Paolo, ritti sul loro unico piede. Il custode era forse saturo di vodka, ma secondo lui i bambinelli si sarebbero tuffati ed avrebbero nuotato con un poker di braccine e con il solo arto inferiore che si dimenava come la parte finale di un pesce.
Di nuovo Nikolaj Gogol' ci relaziona di “un impiegato di piccola statura, butterato, rossiccio, un po' corto di vista, con un po' di calvizie sulla fronte, con le rughe su ambedue le guance e il colore del viso che si potrebbe dire emorroidale”. Si chiamava Akakij Akàkievic e nel gelo nordico portava un cappotto rigirato, rattoppato, logoro e dalla stoffa marcia.
Venne il momento in cui il cappotto dovette per forza essere cambiato: non si riusciva più a ripararlo. L'impiegato si recò allora dal sarto Petrovic e, dal momento che tutto il salario era già destinato alle spese ordinarie, gli girò la gratifica straordinaria di 60 rubli che il suo direttore gli aveva inaspettatamente elargito.
Quando Akàkievic arrivò al lavoro con il nuovo indumento gli altri impegati si congratularono fino a farlo vergognare. Un capoufficio annunciò addirittura che in serata avrebbe organizzato un ricevimento in casa propria, per festeggiare l'evento del soprabito appena fatto.
Questo capoufficio abitava in una zona ricca in cui si incontravano donne magnificamente vestite, uomini che esibivano colli di castoro e cocchieri con cappelli di velluto lampone su slitte laccate, coperte da pelle d'orso. Alla cena (insalata russa, vitello freddo, patè, pasticcini e champagne), in tanti lodarono ancora il cappotto ed alcuni vollero toccarlo nell'anticamera dove era stato appeso.
A notte fonda Akàkievic s'incamminò verso casa e nelle viuzze poco illuminate del suo quartiere venne aggredito da due tipi muniti di baffi che gli portarono via il vistoso cappotto.
Il giorno seguente l'impiegato, con addosso la vecchia palandrana, andò da un commissario e da un generale affinché si attivassero per la ricerca del suo paltò. Fu deriso ed allora Akàkievic se ne andò per San Pietroburgo con la bocca spalancata, avvolto nella tormenta e percosso dai venti. Si prese un febbrone che lo mandò al creatore in due giorni.
La storia non finisce qui. In città si diffuse la notizia che al ponte Kalinkin “compariva un morto dall'aspetto di impiegato che cercava un cappotto rubato e con questo pretesto strappava da tutte le spalle qualsiasi tipo di cappotto, senza distinzione: di gatto, di castoro, ovattato, di procione, di volpe, di orso, di panno di Frisia”. La polizia venne sguinzagliata per catturare “vivo o morto” quel fantasma acchiappacappotti.
Le apparizioni cessarono quando si seppe che lo spettro aveva violentemente sottratto il cappotto ad un generale, che era proprio quello che s'era rifiutato di interessarsi alla rapina subita da Akàkievic. Poi si manifestarono ancora, nei più disparati punti della città.
Ancora oggi, a volte, il fantasma dell'impiegato riesce a predare un cappotto. D'estate, quando le stoffe pesanti sono riposte negli armadi, si dedica a derubare i turisti, che per paura di qualche intemperanza climatica, sono sempre ben vestiti. Spolverini scampanati, giacche a vento aperte, impermeabili sottili, piumini leggeri, mantelline variopinte sono i bottini preferiti. Ed allora, se siete in visita a San Pietroborgo e siete ipnotizzati dalla vostra guida biondo platino, oppure se vi siete fermati ad ascoltare una ragazza in abiti cosacchi che canta con una voce piena di neve/pattini/bambini dalle guance rosse, oppure se state allungando con cuore contento un'elemosina a un mutilato reduce di guerra, oppure se vi state misticamente mettendo in fila per baciare l'icona della Vergine di Kazan, riprendete una condizione di accorta veglia! Un essere impalpabile potrebbe all'improvviso balzarvi sulle spalle e tirarvi via il vostro bel soprabito.
dicembre 2024
EDITORIALE
di: Alberto Bortolotti
Qualche tempo fa è finalmente arrivata la risposta alla domanda "a cosa servono i giornalisti a cosa serve il loro Ordine?". L'hanno data in diretta due voci radiofoniche. Sabato 27 maggio sui 97.3 e 97.6 di Radio International il giornalista Leo Vicari (dipendente dell'azienda) si è... (...segue +)