Cultura e Spettacolo
13/10/2014
Frida Khalo: la pittrice che divenne un'icona
Nell'aprile del 1953, a Città del Messico, presso la Galleria di Arte Contemporanea di Calle Ambres viene organizzata la prima personale di Frida Khalo. L'artista ha quasi 46 anni ed è costretta a letto dopo anni di supplizi inflitti da busti di metallo, di cuoio o di gesso, da trazioni con sacchi di sabbia attaccati ai piedi, da infinite operazioni chirurgiche. Ma la sua prima, Frida non l'avrebbe persa per nulla al mondo: ci arriva su un letto a baldacchino, issato a braccia da ragazzi nerboruti, trasportata come una matrona a mezz'aria. Una folla immensa e plaudente la attende, una fiumana che ha invaso tutti gli spazi nei pressi della Galleria. Ci sono tutti: i suoi amici, gli ex allievi, i tanti medici che l'hanno curata, gli amanti, gli artisti messicani del momento e tanta gente comune, un universo di sombreri e di trecce di donna. Diego Rivera, grande muralista, tiene un lungo discorso in cui sottolinea la grandezza artistica della Khalo, la sua sensibilità, la sua forza vitale nutrita da una resistenza al dolore superiore alla norma.
In questa immagine c'è tutta Frida Khalo: il dolore patito nel corpo e nello spirito, l'artista-idolo, l'amore di e per Diego.
Il dolore appare fin da bambina, quando un attacco di poliomielite le procura una lieve zoppia. Ma l'evento serio è quello dell'incidente sull'autobus: Frida sta tornando dalla scuola dove studia per diventare medico. Ha 18 anni ed è insieme al suo ragazzo, Alejandro. Il bus si scontra con un tram ed un corrimano la trafigge come un toro da infilzare. Il basso ventre è lacerato, la spina dorsale fratturata.
Costretta a letto, Frida comincia a dipingere ed una delle sue prime opere è esposta, insieme ad un vasto campionario, nella straordinaria mostra delle Scuderie del Quirinale. Frida diciannovenne è immobilizzata su un materasso, due argani le tirano il collo e le gambe. Può muovere solo le mani. Può vedere solo se stessa in uno specchio sul soffitto. Si dipinge per mostrarsi al suo ragazzo, l'Alejandro del bus, per mandargli un ritratto come fosse una lettera. Il giovane è stato mandato a studiare in Europa e riceve questo messaggio insieme alla tela: “Alex mio, perdonami se te lo mando senza cornice. Ti scongiuro di metterlo in basso, dove tu possa vederlo come se stessi guardando me”.
Il quadro s'intitola “Autoritratto con vestito di velluto”. Il vestito è una veste da camera, di un rubino che tende al viola; è indossato sul corpo nudo. Il risvolto della veste ha una serie di fiori sbocciati che richiamano simbolicamente l'amore della carne. Le labbra hanno lo stesso colore del vestito. Un mare burrascoso è alle spalle e Frida nasce come una Venere botticelliana dalle acque, che però sono scure, sotto un cielo nero. Frida conserva tuttavia la pelle luminosa di Venere.
Di autoritratti Frida ne dipingerà poi tantissimi, il 50% della sua produzione. Si possono elencare: un autoritratto con scimmie, un autoritratto con treccia che s'impenna a formare un nido, un autoritratto con Diego nei pensieri, un autroritratto con veste da sposa messicana, un autoritratto al confine tra Messico e Stati Uniti ecc. ecc.. Questa ossessione della propria figura è di sicuro un continuo bisogno di accettarsi in mezzo ai tormenti. Ma è anche l'imposizione del proprio sé al prossimo, del proprio ego possente e dominante. Tra l'altro la Khalo si dipinge sempre con le sopracciglia esagerate, masse di pelo di gatto accovacciato sulla fronte; e poi con baffetti evidenti; e poi con testa e sguardo da ragazzo. La sua affermazione implicita è: “io sono al di sopra di ogni stuipido canone estetico”.
Frida è un idolo in vita e anche dopo la morte. Tuttora è una celebrità globale, un'icona pop da
t-shirt e magneti sul frigo. E' sempre stata chiamata senza il bisogno del cognome, Frida e basta. Su di lei abbondano biografie, romanzi, fumetti e film.
Che cosa contribuisca a questo stato di totem venerabile non è facile dirlo. Di sicuro Frida appare come una donna modernissima, totalmente proiettata fuori dalle mura domestiche, piena di interessi politici e sociali. Poi affascina il suo vigore nell'affrontare le difficoltà della vita. Poi la donna è consapevole di una forza ieratica che spudoratamente mette in scena negli scatti dei famosi fotografi dell'epoca: Edwards Weston, Manuel Alvarez Bravo, Gisèle Freund, Martin Munkacsi, Fritz Henle.
Poi deve possedere un segreto per fare invaghire, forse il suo calore meridionale unito ad un intellettualismo freddo e nordico. Altri fotografi come Tina Modotti e Nicky Murray ne sono mentalmente e carnalmente innamorati. Così come lo scultore nippo-americano Isamu Noguchi. Così come il mercante d'arte Heinz Berggruen. Così come l'artista Lucienne Bloch, figlia del compositore svizzero Ernest Bloch. Così come la signora in bianco Doroty Brown Fox. Così come l'esule della Rivoluzione d'Ottobre, niente meno che Lev Trockij, ospitato da Frida nella sua casa.
Lo scrittore e saggista André Breton, in visita in Messico, etichetta Frida come pittrice surrealista. Il francese è ipnotizzato dall'ambiente in cui vive la Khalo, pieno di pappagalli, scimmie, cani e piante dalle forme strane. E soprattuto viene colpito dal quadro “Quello che l'acqua mi ha dato” (In questa tela in una vasca da bagno piena galleggiano il cadavere di una donna, un vestito, un vulcano col cratere occupato da un grattacielo, strani fiori, un'isola con due busti maschili ed altri oggetti). Frida, non troppo convinta d'essere una surrealista, conia comunque la bella definizione: “il surrealismo à la magica sorpresa di trovare un leone nell'armadio dove si voleva prendere una camicia”.
Diego Rivera, come afferma Frida, è il secondo incidente grave della sua vita. Diego, affermatissimo pittore e affrescatore, è di una bruttezza maestosa, grasso e con la faccia da rospo. Eppure attira a sé donne di gran bellezza.
Frida lo conquista velocemente dopo aver sottoposto al suo giudizio le sue prime tele. Diego si traferisce in casa Khalo dove la coppia viene chiamata “la colomba e l'elefante”. Si sposano il 21 agosto del 1929 nel tribunale di Coyoacan. Diego è in giacca e cravatta ma non rinuncia all'inseparabile cappello bianco da ranchero. Frida indossa una camicia e una gonna a fantasia di Tehuantepec, sulle spalle il rebozo, tradizionale scialle messicano.
L'arte sarà per loro l'arma della rivoluzione, anche se Diego si occuperà del macrocosmo dei murales o di tele di ragguardevoli dimensioni mentre Frida si dedicherà al microcosmo di rettangoli abbastanza ridotti.
L'unione dei due sarà spesso traballante, furente, appassita o improvvisamente rinvigorita, rotta per bisogni di libertà totale. Anche se l'ossessione di Diego persevera per tutta la vita nella testa di Frida che lo disegna sopra le proprie sopracciglia, laddove le religioni dell'India posizionano il Terzo Occhio. Oppure lo tiene in braccio, lui corpulento come un Budda e lei esile come un fringuello, nel quadro “L'amoroso abbraccio dell'universo”. Oppure, ne “Le due Frida” racchiude Diego bambino dentro ad un medaglione.
Nel 1940 Frida e Diego si risposano a San Francisco.
Per la cronaca Frida se ne va da questo mondo nel 1954. In maggio è ricoverata in ospedale per una broncopolmonite. Il 2 luglio partecipa ad una manifestazione di protesta contro l'intervento nordamericano in Guatemala. La notte del 13 luglio muore.
Qualcuno favoleggia di un suicidio, soprattutto perché poco tempo prima Frida aveva scritto nella sua ultima pagina di diario: ”Aspetto felice la partenza, spero di non tornare mai più”. Ed aveva disegnato vicino alle parole un angelo ferito dalle ali verdi che saliva al cielo.
Ribadendo che l'ipotesi del suicidio è ancora tutta da verificare, dal punto di vista della filosofia stoica non sarebbe stato un peccato rinunciare alla vita quando tutto di lei è in opposizione a te.
dicembre 2024
EDITORIALE
di: Alberto Bortolotti
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