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Turismo

26/06/2013

Sostenere a Lisbona

“Siediti nel sole, abdica e sii re di te stesso”, questo sostiene Fernando Pessoa.


Un luogo dove abdicare?
Il sole ce lo mette Lisbona, 270 giorni l'anno. Sole pulito in inverno, come la testa di un bimbo biondo alla prima comunione. Sole slabbrato e quasi sciolto nel mese di luglio. Sole alla griglia su nuvole sfilacciate in primavera o in autunno.


Quale luogo è poi tanto indicato per abdicare se non una città che è al termine del mondo? Lisbona è l'impossibile confine dell'infinito, un'unghietta bianca che dal suo dito di terra gratta il blu totale di cielo e mare. Ed in un luogo dove lo spazio davanti è troppo vasto diventa normale rinunciare alla propria relatività col tempo e con gli obblighi sociali.


Si può abdicare nel sole in quello slargo chiamato Rossio, vasta piazza rettangolare chiusa al lato nord dall'edificio neoclassico del Teatro Nacional de Dona Maria. All'angolo nord-ovest occhieggia la stramba entrata della stazione ferroviaria, con due porte a ferro di cavallo finemente scolpite sui perimetri. E' consigliabile sedersi ad un tavolino dello storico Caffè Nicola, stile Arts Déco e con le seggiole che hanno ospitato le nobili natiche di scrittori e intellettuali di fine 800. Un cameriere con farfallino nero su camicia immacolata potrà servirci una meia de leite, un cappuccino sbilanciato più sul latte che sul caffé, e dei papos de anjos (pappagorge degli angeli), dolcetti a base di uova e mandorle. Un pappagallo col piumaggio rosso e blu ondeggia su un attaccapanni posto appena oltre l'ingresso del bar: ripete di tanto in tanto la sola parola “Obrigado”.


Come sostiene Antonio Tabucchi tramite il suo controllore del treno per Cascais, il sole, al pari di fumo e infelicità, fa venire il cancro. E allora è meglio togliersi dal sole bello caldo di giugno. Paghiamo ad una cassiera col viso ovale quanto una palla da rugby e dai capelli nocciola arrricciati a mo' di stelle filanti: la donna risponde al nome di Clarisse Cruz, così sostiene il cameriere. Decidiamo di portare il pappagallo con noi: non siamo forse re e decretiamo dunque quel che ci va?


Attraversiamo il Rossio e ci soffermiamo al centro tra una fontana e la statua bronzea di Dom Pedro V (alias Massimiliano del Messico). Sull'angolo sud-ovest incombono da un colle le rovine gotiche del Carmo, ma per il resto sono caseggiati piatti e bianchi a circondare la piazza. Sembra impossibile, come sostiene Suzanne Chantal, che prima del terremoto del 1755 sul Rossio aggettassero un ospedale, palazzi barocchi, un palazzo di rappresentanza della corona ed un tribunale dell'inquisizione. La piazza veniva invasa all'alba da carrozze, asini, muli, ceste, barili e casse. Il subbuglio mattutino svegliava marinai, soldati disertori, scaricatori di porto, saltimbanchi, storpi, bambini abbandonati, prostitute, mendicanti che avevano dormito all'aperto. Ambulanti montavano banchi e vi buttavano sopra cibarie e vestiti. Pastorelli bastonavano le loro poche capre per indirizzarle ad un prato nei dintorni. Donne nere d'Angola portavano sul capo bacinelle da cui spuntavano teste di pescespada. Poi arrivavano i macellai con carcasse sanguinolente da tranciare, fornaie con pagnotte di miglio avvolte in panni tiepidi, barbieri con rasoi così affilati da poter tagliare anche una gola, speziali con sanguisughe per chi volesse usufruire di un salasso. Il viavai si prolungava per tutto il giorno a meno che non venisse eretto un patibolo per un'esecuzione oppure nel caso qualcuno portasse un toro infuriato per una corrida: allora i presenti si spalmavano contro i muri degli edifici.


Dall'adiacente praça de Figueria si transita in largo Moniz, dove una matassa ingarbugliata di rotaie indica il capolinea di parecchi tram. Lì comincia ad aggrapparsi ad una montagnetta il vecchio quartiere arabo della Moureira, annunciato da un piccolo mercato coperto a cui si può dare un'occhiata. Spiccano le spezie con mucchietti di polveri rosse che tentano di monopolizzare la vista, anche se il giallo dello zafferano tiene botta. Una delle venditrici, dalla pelle liscia color dei cioccolatini al latte, sostiene di chiamarsi Vera Barbosa e sostiene pure che il nostro pappagallo mangerebbe volentieri semi di canapa e di girasole striato. E' meglio comprare il cibo per il nostro uccelletto prima che dalla spalla su cui si è appollaiato cominci a beccarci la nuca o un orecchio.


Conviene prendere un tram piuttosto che sudare su per i vicoli sbriciolati e polverosi dell'antico quartiere orientale. Saliamo sul numero 28, il mitico electrico, il cui percorso tocca la maggior parte dei punti turistici di Lisbona. Il guidatore parrebbe Cristiano Ronaldo, il fuoriclasse attualmente al Real Madrid: capelli neri impomatati, faccia da pistolero e tiroide sporgente. “I titoli di viaggio li metto sul conto di José Mourinho”, sostiene il Cristiano dai piedi d'oro. “Obrigado” interloquisce il pappagallo. “Nel caso salisse Mourinho non potrebbe dirvi Zero tituli”, sostiene e ridacchia Ronaldo.


Il tram, giallo, si inerpica per le stradette di rioni popolari fino a raggiungere e sostare a Graça, una sommità con una chiesa agostiniana ed uno splendido miradouro. Da quest'ultima balconata si gode una veduta panoramica sulle mura e sulle torri del Castelo de Sao Jorge, poco più alto di lunghi casamenti celesti e nocciola che si sovrappongono come fossero una serie di enormi gradini. Più ad ovest appare il Carmo ed oltre si gonfia la cupola della basilica da Estrèla.


Un capannello di ragazzetti color delle mandorle sta contando, davanti al tram, i palleggi consecutivi dell'esibizione estemporanea di Cristiano Ronaldo. Risaliti sull'electrico il funambolico guidatore ci fa trovare la sorpresa di due suonatori di fado seduti in punta ai sedili di legno del tramvai. Uno ha la faccia di Manoel de Oliveira con la testa calva e il viso scarno: è magro quanto un cavallo anoressico dell'Apocalisse e imbraccia una chitarra. L'altro ha il volto di Joaquim de Almeida, capelli corvini tinti, mascella e naso larghi, sorriso da corteggiatore di dame svampite: immorsa tra le ginocchia una viola. C'è anche una cantante, inconfondibile, la regina delle cantanti portoghesi. Ha capelli scuri a monoblocco, come caffé spacchettato ma non ancora sgretolato. Gli zigomi sono alti e gli occhi malinconici non riuscirebbero mai a sposare una risata di gusto. Le spalle sono avvolte da uno scialle nero. Senhoras e Senhores........Amalia Rodrigues!!!


Ripartito il tram la voce di Amalia ci vorrebbe far piangere di quel pianto per cui si è contenti, non il pianto di gioia, ma la voluttà di una tristezza che ha qualcosa di superbo. Sostiene la canzone: “Lisbona, vecchia città, sempre tanto bella nel vestire leggiadra il bianco velo della nostalgia”. Ma non c'è tempo per lasciarsi offuscare le pupille dalle lacrime: le strade sono diventate d'improvviso strettissime e il tram potrebbe schiantarsi da un momento all'altro contro un muro sporgente o contro un balcone troppo basso. I marciapiedi sembrano voler saltare sulle rotaie, le insegne delle botteghe arrivanno a pochi centimetri dai vetri, i lampioni appesi ai cavi della corrente fanno il solletico al tetto dell'electrico. Il pappagallo alza ad intermittenza le zampette sulla nostra spalla: forse è tachicardico.


Cristiano Ronaldo punta ad alta velocità lo spigolo di una casa che invade la via. Una frazione prima di un impatto tra mattoni e lamiere, le ruote riescono ad assecondare, stridendo, un'idea di curva già disegnata dai binari. “Bisogna andare dritti contro l'avversario e scartarlo all'ultimo momento” sostiene Cristiano Ronaldo.


Scendiamo alla fermata del miradouro di Santa Luzia. Guardando in giù gli occhi scivolano su centinaia di tetti rossi così vicini che si potrebbe anche passeggiarci sopra. Qualche casa termina con lastrici solari affittati da gerani scarlatti e da oleandri rosa. Terrazze che fanno da copertura ad alcuni fabbricati hanno parapetti di maiolica blu e, come sostiene Arnaldo Cipolla, splenderanno nella notte lunare come laghi verticali. Due chiese bianchissime svettano sull'abitato, Santo Estevao e Sao Miguel. Il Tago è in fondo, azzurro e tranquillo.


Il miradouro è collegato alla piazzetta das Porta do Sol. Da qui una ripida scaletta immette nell'Alfama, fitto dedalo di viuzze, rampe, minuscoli giardini, spiazzi ridotti. I muri delle case sono addossati gli uni agli altri e dove si distanziano appena formano vicoli e passaggi (becos) in cui non arriva mai la luce del sole. Nel labirinto viario è da furbi cercare la discesa: prima o poi si sbucherà sulla riva del fiume.


Nell'Alfama passiamo sotto a corti fili di bucato che reggono al massimo tre magliette, disturbiamo tre bambini scugnizziformi che si stanno tirando una palla di stracci, schiviamo dei bidoni circolari per l'immondizia che formano quasi un posto di blocco, aggiriamo l'abside di una delle due chiese, sfioriamo una griglia appesa ad un muro scrostato su cui verranno arrostite delle sardine.


Ci prendiamo una pausa al tavolino esterno di un piccolo ristorante che s'infossa in un palazzo. Lo stabile di fronte è così vicino che sembra protendersi per pomiciare. L'oste, il volto ossuto e il fisico asciutto del mezzofondista Rui Silva, sostiene mediante una lavagnetta che potrebbe servirci: 1) Sogliola con banana, 2) Maiale all'alentejana, con vongole, 3) almondegas. Il menù numero 3 è il meno rischioso, composto di gustose polpettine di carne che piacciono anche al pappagallo.


Rifocillati, cominciamo a digerire per altre strade anguste, quelle dell'antico quartiere ebraico. Poi giungiamo finalmente ad uno spazio aperto, innanzi a Sé Patriarcal. Siamo alla cattedrale che ha un frontone racchiuso da due torri massicce e scavato da un rosone di stampo francese. Dentro è disteso il cadavere-reliquia di Sao Vincente, incorrotto in alcuni brandelli di corpo ma con la bocca erosa e i denti scoperti.

Il tram 28 è fermo di fronte alla cattedrale e Ronaldo ha messo i due suonatori di fado davanti al veicolo. Il calciatore posiziona quindi il pallone ad una ventina di metri e con un calcio calibrato gli fa sorvolare la barriera e imbucare la porta del tram. Amalia Rodrigues scuote la testa.


Ripigliamo l'electrico e traversiamo la Baixa, zona ricostruita dopo il terremoto con vie che si incrociano sempre ad angolo retto. E poi transitiamo per Praça do Comércio, spianata aperta sulle acque del fiume. Amalia sostiene, cantando, “Lisbona d'oro e d'argento, il tuo volto si riflette nell'azzurro cristallino del Tago”...... E poi, visto che il 28 ci aiuta con l'altro suo capolinea, andiamo a toglierci una curiosità.......


Sostiene il taxista di “Requiem”, storia di Antonio Tabucchi, che all'ingresso del Cimitero dos Prazeres gli zingari vendano ogni giorno scarpe, cinture, camicie e camiciole. Verifichiamo, camminando dalla stazione terminale del tram fino allo slargo che precede il raduno delle tombe. Gli zingari ci sono ed alcuni dormono in terra. La merce è esposta su pezze stese al suolo o su bancarelle di legno. C'è anche la Vecchia Zingara di Tabucchi, con un fazzoletto giallo in testa: sul suo banco s'ammucchiano magliette Lacoste multicolori. La Vecchia Zingara ci dice che una Lacoste falsa costa 25 euro mentre una autentica ne costa 26. Qual è la differenza tra la falsa e l'autentica? Sostiene la Zingara che, per avere una Lacoste autentica, prima compri la falsa e poi, con un euro, compri il coccodrillo autoadesivo da appiccicarci sopra.


Perché non comprarci una Lacoste turchese? O magari una rossa con striscia blu, per fare pendant col piumaggio del pappagallo? E perché non farci leggere la mano dalla Vecchia Zingara? No, la mano è meglio di no, soprattutto se abbiamo timore del destino e soprattutto perché possiamo giustificarci: in mattinata abbiamo abdicato, anche dal destino.


Affidiamoci di nuovo all'electrico e facciamoci scarrozzare fino a Rua de Boavista, non lontana dal Tago. Qui cambiamo mezzo e saliamo sull'elevador da Bica, una funicolare gialla che infila un pertugio rettilineo in ascesa tra due ali di palazzi. Dal livello del mare l'elevador sale così lentamente che il macchinista ha il tempo di prendere una birra stappata dalle mani di una donna affacciata ad un balcone.
Veniamo sbarcati sul limitare del Bairro Alto, quartiere a strette vie ortogonali in cui ci infiltriamo, soffermandoci davanti ai negozi di antiquariato ed entrando in una delle tante gallerie d'arte. Con le gambe ormai allenate arriviamo poi fino al Carmo, suggestiva chiesa gotica scoperchiata i cui pilastri pungono il cielo. Gatti batuffolosi e immobili, ma anche piante spontanee, possono fare lo sgambetto tra le navate dell'edificio.

Assolviamo quindi un ultimo dovere turistico visitando la chiesa di Sao Roque, con l'interno che è un capolavoro di ornamentazione barocca in marmo, legno e azulejos. Infine raggiungiamo sempre a piedi il miradouro de Sao Pedro de Alcantara, una terrazza-giardino che occupa una piccola altura.


Bouganvillee viola e salmone piovono giù, sulla sottostante Praça dos Restauradores. Il punto è panoramico ed offre vedute del Castello, della Baixa, della cattedrale. Un altro elevador, quello da Gloria, striscia col suo vagone giallo sulla cremagliera fino ad arrivare all'imbocco della balconata. E' ormai pomeriggio inoltrato, l'aria è profumata da qualche gelsomino bianco e le cicale intorno sono scatenate. Il canto delle cicale, come sostiene José Saramago, è lo stridore dell'invisibile sega che sta tagliando le fondamenta di questo mondo. In effetti le cicale potrebbero essere la colonna sonora dell'Apocalisse: consce di una fine del mondo hanno definitivamente abdicato e non mettono da parte nulla per un inverno che non giungerà.
Come sostiene poi José Cardoso Pires è tradizione che in tutti i giardinetti di Lisbona, nei tardi pomeriggi, spuntino dei vecchi che si distribuiscono intorno a tavoli di legno per giocare a carte. Vecchi compaiono anche al nostro miradouro e subito attaccano partite a scopone. Alcuni calano le carte con cautela, timorosi di sbagliare. Altri imprecano sull'eccessiva prudenza del compagno e gettano un asso o un fante con violenza. Alcuni sono distratti, forse col pensiero alla rata della pensione o alla moglie defunta. Altri sono consumati dal catarro che brontola quando aprono bocca.
Su una panchina viene a sedersi Fernando Pessoa, capelli folti e occhialini da intellettuale. Inizia a sostenere a voce alta quello che vorrebbe scrivere in una lettera indirizzata alla fidanzata: “Tutte le lettere d'amore sono ridicole”. Arrivano con l'elevador anche Amalia Rodrigues e i due suonatori di fado. Quello magro somigliante a Manuel de Oliveira ha portato dei semi di zucca per il pappagallo che rispolvera la sua monoparola: “Obrigado”. Amalia sostiene, ma soprattutto ricorda a Pessoa che “chi perde un amore nella vita non dovrebbe mai cantare”.
Il sole intanto si abbassa, dalla parte dell'oceano che è solo tre miglia più in là. A questo sole, prima del suo tramonto, rammentiamo e proclamiamo che abbiamo abdicato, che stiamo tuttora abdicando e che, anche per il futuro, abbiamo tutte le intenzioni di continuare ad abdicare.

 

 

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