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Cultura e Spettacolo

05/06/2013

Il plaustro

“Il plaustro”: vicende e significato di un periodico militante. Questo è il titolo del vostro saggio introduttivo. In che senso, periodico militante?


Nel 1911 Aldo Spallicci aveva venticinque anni: era terminata l'esperienza del “Pestapevar”, giornaletto satirico degli anni universitari, ed egli decise di dare vita a una rivista di illustrazione regionale che aveva lo scopo di “far conoscere la Romagna ai Romagnoli”. L'autore aveva già chiare le coordinate di un progetto che avrebbe portato avanti nel tempo, con straordinaria energia, attraverso differenti modalità. Per “Il plaustro” egli sarebbe stato, di volta in volta, poeta, pubblicista, promotore culturale. Soprattutto voleva uscire da ogni stereotipo, spostare l'attenzione dal concetto generico e astratto della romagnolità per giungere alla concreta realtà del regionalismo, che in Italia si era sedimentato attraverso secoli di storia. In questo senso, quindi, si comprende quale sia la militanza di Spallicci e della sua rivista.


“Il plaustro” fu pubblicato a cinquant'anni di unità d'Italia: qual era la situazione in Romagna?


La Romagna aveva zone ancora molto povere, specialmente nell'alta collina, un analfabetismo ancora molto diffuso, una forte faziosità fra i partiti che spesso in alcuni casi degenerava in violenza. “Rumagna insangunêda da i partì”, scrive Spallicci in una celebre poesia, E' môrt dla Vultana, per condannare gli atti sanguinosi che colpivano gran parte del territorio romagnolo, soprattutto per il conflitto fra i maggiori partiti popolari, Repubblicani e Socialisti. Però la Romagna aveva anche aspetti positivi: le città romagnole avevano una grande vivacità intellettuale, ad esempio a Cesena venivano stampati in quegli anni ben quattro settimanali: “Il Savio”, di ambito cattolico, “Il cittadino”, di ambito liberal-monarchico, “Il popolano”, di ambito repubblicano, “Il cuneo”, di ambito socialista. Anche a Forlì, Faenza, Ravenna e nelle altre città c'era una grande passione politica che dava vita a numerosi giornali. Va ricordato che in quel 1911 bibliotecario della Malatestiana di Cesena era Renato Serra, la cui presenza attirava nella città romagnola intellettuali del calibro di Benedetto Croce.


Qual era la struttura del periodico?


Si trattava di un quindicinale di otto pagine, stampato dalla tipografia forlivese Luigi Bordandini. All'editoriale di prima pagina seguivano generalmente il profilo di un personaggio romagnolo, un articolo di folklore, la descrizione di un castello o di un avvenimento storico, poi scritti d'arte, poesie in italiano o in dialetto. Infine, le recensioni librarie. Riservata alla pubblicità era l'ultima pagina. Fecero eccezione a questo schema tre numeri monografici, dedicati a tre grandi personaggi: Giovanni Pascoli, Domenico Baccarini, Alfredo Oriani. Il programma era molto preciso, si collegava ai due criteri individuati da Spallicci, il carattere apartitico del periodico e il suo taglio pedagogico-divulgativo.


È notevole l'aspetto grafico della rivista: chi sono gli artisti che parteciparono al progetto?


Spallicci poté contare sulla collaborazione di numerosi artisti, primo fra tutti Pio Rossi, che fu tra l'altro, l'illustratore della testata, ed inoltre Alessandro Bagioli, Gino Barbieri, Tommaso Della Volpe, Tullo Golfarelli, Vittorio Guaccimanni, Giovanni Marchini, Domenico Miserocchi, Arturo Mortadei, Francesco Nonni. Da notare la presenza all'interno della rivista delle fotografie, dedicate a opere d'arte, monumenti e personaggi: proprio la fotografia era considerata dalla redazione “l'ornamento principale della narrazione o descrizione”.


Qual è il rapporto fra Spallicci e la Romagna, a quarant'anni dalla morte del poeta?


L'attualità di Spallicci sta nell'aver posto come prioritaria per la politica la questione morale. Ricordiamo che lo scrittore fu antifascista, subendo carcere, confino e domicilio coatto a Milano per più di vent'anni e che dopo la guerra fu costituente e senatore per due legislature con un'attività molto intensa. In particolare Spallicci, come costituente, formulò il punto quinto dei “Principii fondamentali” che riguarda decentramento amministrativo e abolizione delle province; si batté per l'istituzione del Ministero della Sanità; come senatore difese l'ambiente e i suoi interventi furono sempre concreti e legati al territorio. A quarant'anni dalla morte, quando in varie occasioni parliamo in pubblico dell'uomo e del poeta, e della coerenza fra vita e poesia (“quel ch'a cant a cred”, scriveva in una sua lirica, La bona la santa puesì), capita spesso che persone di tutte le età, ma anche giovani fra il pubblico che ascolta, esclamino: “ah, non lo conoscevo”. Questo prova che il suo messaggio è di straordinaria attualità e che lui  è una personalità ancora in gran parte da esplorare. Attualmente i Comuni “spallicciani”, cioè quelli dove nacque e visse (Bertinoro, Forlì, Cervia, Premilcuore), hanno fatto e stanno organizzando una serie di manifestazioni atte a valorizzare la vita e l'opera dello scrittore e del politico.


Spallicci, insieme a Cesare Martuzzi, ha avuto un grande peso nel canto corale romagnolo. Come?


Fin dal 1910 Spallicci aveva proposto a Martuzzi i testi di alcune sue composizioni perché li mettesse in musica secondo la linea melodica della canta popolare in coro della Romagna. Nacquero così le cante del ciclo delle stagioni, come La Majé, Pr'e chêld, A gramadora, A trebb. Sotto la direzione di Martuzzi, in quel medesimo 1910, si costituì la prima società di canterini forlivesi che mise in repertorio, oltre alle cante popolari tradizionali, anche le nuove cante d'autore. Sono canzoni che hanno avuto un processo di folklorizzazione: si usa questo termine quando un testo d'autore diventa così popolare da venire adottato dal popolo e si tramanda come se fosse anonimo. Questo è il caso di A gramadora, un canto che prende spunto dalla gramolatura della canapa ed è conosciuto dai più dal primo verso, “Bèla burdèla fresca campagnola”, che descrive il modello di bellezza femminile regionale, con capelli e occhi neri come il carbone e la bocca rossa come una bacca.


Quali sono gli argomenti che vengono trattati maggiormente nella rivista?


Tre sono gli aspetti: l'ambiente, il costume, inteso in senso storico-antropologico e il dialetto dal punto di vista dello studio linguistico. Spallicci si dedicò generosamente alla difesa del patrimonio boschivo, della fauna, della flora spontanea, delle colture tipiche  e delle attività umane connesse alle caratteristiche ambientali del territorio. Va poi considerato che questa battaglia rimase sempre nel cuore di Spallicci. Quarant'anni dopo, dalla tribuna del Senato della Repubblica, il poeta avrebbe riproposto il tema del rimboschimento, negli anni in cui stava avvenendo il massiccio abbandono della terra da parte degli agricoltori poveri del preappennino. Oltre all'ambiente, Spallicci dedicò grande attenzione alla storia, da leggersi non solo nella prospettiva dei grandi personaggi, ma anche della gente comune. Spallicci, così facendo, non trascurava la Romagna turbolenta e settaria, ma voleva mettere da parte quegli aspetti negativi su cui una pubblicistica contraria alla Romagna aveva scritto abbondantemente, come si può leggere nel saggio di Guglielmo Ferrero pubblicato sul “Plaustro” nel 1913, estratto dal volume, curato da A. G. Bianchi, G. Ferrero e S. Seghele, Mondo criminale italiano, del 1893. Spallicci, per opporsi a questi stereotipi, scelse la via della ricerca. Scrisse sul “Plaustro” nel 1912 che in ogni numero del periodico avrebbe sostato “di fronte a un medaglione di un uomo, investigando pazientemente gli episodi del folk-lore, e illustrando infine castelli medievali e ricordi del risorgimento per non lasciare nell'oblio nessun rudero e nessun palmo di terra che meriti cenno”. Infine, per il dialetto, Spallicci volle sdoganare la poesia dialettale dal genere satirico-ridanciano e liberarla dall'uso di termini volgari. Non a caso per definire il linguaggio poetico scrive sulla rivista, nel 1912, che “l'opera del poeta vernacolo non deve essere ristretta al frasario della piazza, del mercato e del campo, ma deve anche cercare quell'anima riposta della gente che spesso nel trivio non si mostra”.


Per quali motivi la rivista chiuse nel 1914?


Si possono identificare tre principali motivi. Il primo fu finanziario: nonostante che Spallicci fosse stato aiutato da Carlo Piancastelli, grande collezionista e bibliofilo, raccoglitore di tutto quel che riguardava la Romagna, la rivista aveva grossi problemi economici. Inoltre, nel 1914 scoppiò la Grande Guerra e Spallicci partì volontario verso il fronte delle Argonne a difesa della Francia, perché vedeva nella nazione attaccata dagli Imperi centrali ancora una volta la violenza degli imperialismi. Partì ancora sotto la guida di Ricciotti Garibaldi. Soprattutto, però, la principale motivazione può essere letta nell'editoriale d'addio, in cui possiamo leggere: “la Romagna non sente nessunissimo attaccamento a questo foglio che di lei e per lei vive e combatte”. La rivista fallì perché si arenò nelle secche dell'indifferenza proprio nei confronti di quel pubblico che doveva essere il principale destinatario della pubblicazione.


Quale fu il principale difetto della rivista?


Mancavano collaboratori fissi specialistici, pur essendoci firme prestigiose che però scrivevano saltuariamente. Un problema che venne riconosciuto dallo stesso Spallicci fu quello di non aver saputo mantenere in equilibrio il rapporto fra erudizione e dilettantismo. Inoltre, i migliori scrittori romagnoli non avevano collaborato con il periodico.


Esistevano altre pubblicazioni all'epoca, oltre al “Plaustro”?


Ne esistevano molte, politicizzate. L'unica che si dedicava alla cultura e non era legata ad alcun partito era “La Romagna” di Alfredo Grilli. Si trattava di una rivista di impostazione storico-erudita, in cui comparivano articoli di letteratura, arte e storia, sporadicamente anche di folklore. Spallicci voleva allargare la fascia dei collaboratori, cambiando tono e registro, escludendo solo chi volesse portare la politica all'interno del “Plaustro”.


“Il plaustro” era una rivista apartitica: qual era l'idea di Spallicci circa la politica del tempo?


Aldo Spallicci era già repubblicano e garibaldino. Nel 1912 partecipò alla spedizione guidata da Ricciotti Garibaldi, figlio del Generale, a Drisko, località greca, per la difesa dei Greci contro i Turchi, nelle fila della Legione garibaldina. Per Spallicci l'idea di patria ha senso solo quando la propria patria non è aggressiva contro le altre patrie, rifiutando così il nazionalismo. Spallicci era e rimase mazziniano. In un momento storico segnato dall'acceso nazionalismo, alimentato dalla recente guerra di Libia, il poeta condannava l'imperialismo e il nazionalismo. Lo si può leggere in un articolo del 1913: “Noi cerchiamo oggi più che mai di tener alto il prestigio italiano all'estero e poniamo la dignità nazionale sulla punta delle baionette o sulla bocca dei cannoni; ma la questione è ben altra, la questione sta nella rinnovata educazione civile”. E poco più oltre, nello stesso articolo: “Questo elevamento morale si raggiungerà solo a patto di una maggiore educazione e di un senso più alto della vita. In quest'opera di reciproco controllo e di amichevole rimprovero dato dagli uomini più giusti ai meno scrupolosi hanno dato sino ad oggi (è doveroso riconoscerlo) compiuta l'opera loro moralizzatrice i partiti politici nei piccoli ambienti delle loro sezioni. La cultura e l'educazione popolare per quanto procedano con piedi di piombo compiranno il resto”.


“Il plaustro” parla di Romagna: cos'è, oggi, per voi la Romagna (dal punto di vista storico, artistico, culturale, ecc)?


Il senso dell'identità romagnola si sta perdendo, anche se noi ci manteniamo molto affezionati a questa terra. Con l'afflusso dei migranti, con gli abitanti delle colline spostati al mare, il turismo di massa si è dissolto, o fortemente modificato, un tessuto sociale che porta ad uno straniamento. Lo si può provare andando nelle piazze dei mercati, dove troviamo venditori che vengono da ogni parte del mondo. La realtà apparentemente immutabile dei borghi e delle città della Romagna si è trasformata e oltre a sentirsi straniati ci si sente impreparati a questa nuova realtà con cui dobbiamo confrontarci. Dal punto di vista culturale possiamo notare che c'è una vivacità culturale notevole, una voglia di appartenenza e una partecipazione alle iniziative molteplici che si producono sul territorio. In particolare noi possiamo notare che nei territori romagnoli che abbiamo frequentato nel corso degli anni in molteplici manifestazioni abbiamo potuto riscontrare attenzione, partecipazione, interesse e volontà di approfondire argomenti legati alla storia del territorio. 

 

 

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