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Formazione

03/01/2013

Formazione, apprendimento e sviluppo

Io sono un vecchio docente universitario che ha nel suo lavoro svolto una funzione di passaggio tra una formazione come addestramento, basata su un’attività in cui non si era pagati per pensare, e una formazione come sviluppo, in cui, per essere pagati, si doveva proprio pensare. Moltissime volte ho cominciato le mie lezioni con la frase “Pensiamo insieme”. Con questo spirito ho portato alla laurea circa tremila ragazzi in quattro Università. A voler essere sincero, oggi non lo so proprio dove la formazione si stia dirigendo. Molti rivoli stanno scorrendo. Forse comincio a vedere qualche segnale su acquisite o acquisibili capacità umane, come le relazioni e le connessioni (lingue straniere, viaggi, trasmissione a distanza, orizzonti temporali, bersagli mobili, longevità, rappresentanza e rappresentatività, vendetta e perdono, negoziazione e cittadinanza ecc.). Ma tutto è ancora molto vago e soprattutto poco applicabile. Per esempio non so ancora che legame esiste tra formazione, lavoro, sviluppo e benessere. Il lavoro, cioè la prestazione, sta cambiando finalità e natura. Il denaro, cioè la contro-prestazione sta pure cambiando funzione e proprietà. E di questi cambiamenti la formazione-sviluppo che, volenti o nolenti, stiamo realizzando dovrà pure tener conto. La loro complessità aumenta la nostra curiosità e il nostro desiderio.


Certo oggi imparare è più importante che insegnare e sono sempre più le cose che si imparano senza insegnarle che le cose che si insegnano senza impararle. Dalla scuola dei professori si sta così passando alla scuola degli studenti. Cose vecchie, direte voi, le abbiamo sentite dire tante volte e poi tutto è restato come prima. Cercherò di dirvi adesso come questo restare come prima non è più possibile. È come cercare di restare fermi a bordo di un treno in corsa. È come dimenticare che il nostro pianeta gira e cambia le stagioni. Vorrei fare quindi un po’ il punto della situazione.


Tutte le volte che si comincia a discutere di formazione ci si trova di fronte a una contraddizione: quella tra la formazione e lo sviluppo, cioè tra il presente ed il futuro. Ci si chiede se dobbiamo inseguire un bersaglio fisso e fare i replicanti o inseguire un bersaglio mobile e fare i movimentisti. Nel primo caso abbiamo a che fare con la pratica dello scoprire e con la mentalità etica, cioè col migliorare il presente, l’esistente, servendosi del passato. Nel secondo caso abbiamo a che fare con la pratica dell’inventare e con la mentalità estetica, cioè col migliorare il futuro, l’inesistente, servendosi del progetto. Così dalla bontà si passa alla bellezza, al calòs kài agathòs dei greci. Il bello prima del buono. Una formazione futura deve saper fronteggiare l’inesistente e il mistero. Deve essere una formazione fondata anche sulla speranza e non solo sulla tradizione, sulla sopravvalutazione degli allievi e non sul loro disprezzo, sull’invenzione e non sulla scoperta. Una formazione, uno sviluppo e una scuola possono essere più belle. Una scuola futura deve saper affrontare il mistero del conoscere senza volerlo di necessità trasformare in segreto. Ha bisogno di una sua capacità di inventare il futuro, senza essere terrorizzata dall’ù-topìa o dall’ù-cronìa, cioè dall’inesistenza nello spazio e nel tempo. La paura dell’inesistenza non ci deve impedire di esistere. Una scuola deve vivere, non sopravvivere.


La formazione deve essere capace di inseguire i bersagli mobili e di prevedere la posizione di quei bersagli nel tempo, essendo contemporaneamente formazione e sviluppo. Ma deve anche essere capace di accontentare il diritto e il dovere di soddisfare il desiderio di benessere e la speranza di bellessere. Questa è una formazione che ho in mente. Ora vi invito a pensare a che risultati si può arrivare con un’idea del genere in mente. I docenti potrebbero pensare più al loro imparare che al loro insegnare. Io li invito a volare alto e a non seguire il disprezzo verso gli allievi, considerandoli sudditi e non cittadini. Questo ci porta a un difficile contatto col mondo delle motivazioni. Dalle risorse scarse a quelle abbondanti: motivazioni più desideri; perché desiderare è una risorsa non un costo.


 Io sono italiano e In Italia quando uno esprime i propri desideri tende a scrivere un decalogo, cioè un elenco di dieci “comandamenti”. Del genere comando, cioè non negoziabile. Se andiamo a cercare su Google la parola decalogo, troviamo circa 2.100.000 voci, segno che nella lingua italiana l’idea del decalogo ricorre con una certa frequenza. E infatti troviamo il decalogo del capo, del giornalista, del nato stanco, del caterpillar, dei film di Kieslowski, dei ragazzi, della lega ambiente, dell’antinucleare, della coldiretti, di Italia nostra, eccetera. Ciò credo risponda al bisogno di avere qualcosa di chiaro e di sicuro nel clima di molte promesse in cui noi viviamo.

Quindi in Italia si tende a ragionare con “comandamenti”, con decaloghi di ogni genere. Troviamo persino il decalogo del conoscere lo Spirito santo. Si capisce bene quindi che esiste pure un decalogo dei principi formativi e che questi dieci principi possano essere utilizzati per un discorso sulla formazione in una società. Anzi, guardando meglio su Internet, esiste sulla rete qualche centinaio di decaloghi che propongono un regolamento della formazione in diversi luoghi e campi del sapere. Consigli e certificazioni. Ovviamente anche io qui, da buon italiano, ho presentato un mio piccolo decalogo, intitolato dieci principi formativi per una scuola operante in una società' abbondante e immateriale”. Li ricordo qui. Eccoli:

  1. Imparare è un piacere, non è un dovere: nella società abbondante finisce l'apprendimento obbligatorio; infatti il collegamento tra apprendimento e sofferenza serve al dominio vigente per impedire l'apprendimento del benessere che è quello che ci fa liberi;
  2. Nella società abbondante ogni formazione o apprendimento è sempre e comunque una formazione o apprendimento di benessere (soggettivo e diffuso) ed è anche una speranza di benessere futuro, definibile come bellessere;
  3. La formazione e l'apprendimento sono rivolti più al soggetto che all'individuo: il soggetto è il titolare di un progetto di benessere ed è come uno si vede, mentre l’individuo è come lo vedono gli altri; nella maggioranza dei casi un soggetto è mosso da una speranza di benessere (proprio e altrui), mentre in alcuni (non rari!) casi l’individuo è mosso da una voglia di malessere (proprio e altrui);
  4. Non vi è contrasto tra soggetto individuale e soggetto sociale: l'individuo scopre la società altrui già esistente, il soggetto invece inventa la società propria prima inesistente; esistono contemporaneamente una soggettività individuale e una soggettività sociale;
  5. Il valore base di una società abbondante è la soggettività (emergente): il valore base della soggettività è il benessere; il valore base del benessere è la soggettività e così di seguito; si tratta di fattori collegati e omologhi, forse sinonimi;
  6. Il motore del benessere è stato nei secoli etico ed estetico: l'etica si riferisce al passato, l'estetica al futuro; l’etica ha come sentimento base l’esperienza ed il bisogno di non ripetere gli errori commessi; l’estetica ha invece la speranza ed il desiderio di stare meglio; l’etica controlla le proprie finalità con le norme e le paure-minacce, l'estetica coi progetti e le speranze-promesse; non vi è bellezza senza futuro e norma senza passato;
  7. Imparare è più importante che insegnare: le due azioni non sono speculari o reciproche; la scuola di una società abbondante e futura deve privilegiare l’imparare rispetto all’insegnare, gli studenti rispetto agli insegnanti, ma ci sono molte cose che si imparano senza insegnarle e molte altre che si insegnano senza impararle;
  8. La didattica più congruente in una società abbondante è quella della pluralità, cioè del piccolo gruppo: il futuro consente il gruppo come il gruppo consente il futuro; questo vuol dire che non c’è futuro senza gruppo, né gruppo senza futuro; la bellezza è una speranza di benessere; tre concetti sembrano quindi collegati tra loro: futuro, gruppo e bellezza;
  9. La formazione nella società abbondante dovrebbe essere plurale: cioè seguire il modello delle cinque culture, dette anche i cinque livelli di funzionamento sociale (coppia o duale, piccolo gruppo o micro, grande gruppo o macro, gruppo di comunità o mega e gruppo virtuale o rete); questi cinque livelli culturali sono intercalati dalle quattro interfacce o cambi culturali coppia-gruppo, gruppo-organizzazione, organizzazione-comunità, comunità-rete;
  10. La speranza di benessere è già benessere: il passaggio dalla bontà alla bellezza, dalla buona alla bella formazione, dalla buona alla bella scuola, dal buono al bel lavoro si può ottenere con l'attenzione al futuro, al plurale, al soggetto, al piccolo gruppo e al terzo fattore estetico che permette il passaggio dal due al tre, dalla bontà alla bellezza, dalla coppia al gruppo, dal benessere al bellessere.
  11. Questi dieci comandamenti devono essere negoziati ed io li propongo qui come una delle tante cose da negoziare. Quindi sono molto interessato a negoziare tutto quello che dico con tutti. Tenete presente che desidero uscire dall’errore di tutti coloro che si occupano di comunicazioni di massa, quelli che considerano gli spettatori come degli stupidi a cui occorre dire cose stupide.

L’apprendimento è il fattore base per ogni sviluppo. La storia ci mostra come lo sviluppo dell’umanità sia avvenuto tramite processi di apprendimento. Per umanità si intende la razza che si autodefinisce “umana” con tutti i suoi pregi e difetti. Per sviluppo si intende un passaggio da livelli minori a livelli maggiori di benessere soggettivo e diffuso. Per apprendimento si intende la conoscenza di qualcosa (nozione, emozione, relazione, ecc.) che prima non si conosceva. Quindi apprendere significa passare da un vuoto ad un pieno, da un’assenza a una presenza, da una condizione di ignoranza a una di conoscenza e da una conoscenza a una coscienza.

In questo passaggio si distinguono quattro stadi: mistero, coscienza del mistero, creazione del segreto e memorizzazione. Questi quattro stadi poi consistono essenzialmente in quattro relazioni o con sé stessi o con altri soggetti di apprendimento. Essendo inoltre l’apprendimento una caratteristica “vitale” cioè necessaria per la vita, si compone della specifica caratteristica vitale della conquista e della difesa. Ogni apprendimento tende così a conquistare altri soggetti di apprendimento e tende a difendersi da altri soggetti che tendono a conquistarlo. Per esempio gli uomini imparano dalle muffe il modo in cui queste si difendono dai batteri e scoprono gli antibiotici, ma in altra occasione, sotto l’influenza della malaria e del microorganismo che la provoca, fanno crollare società e culture come la Magna Grecia, producendo una malattia sanguigna detta anemia mediterranea o falciforme, tuttora ereditariamente presente.

È fondamentale, quindi, mantenere sempre attivo il processo di apprendimento. Qualcuno lo ha anche teorizzato col detto “sapere è potere”. Certamente se si rallenta l’apprendimento, si arrestano le culture e le società spariscono. Noi non sappiamo quante società e culture sono scomparse secondo questa logica: la stessa loro memoria è sparita. Ogni tanto si scoprono resti di città o di abitazioni sconosciute. L’apprendere dagli altri compone il meccanismo millenario di insegnamento/apprendimento, oggi sottoposto a sostanziali revisioni. Una di queste revisioni è rappresentata dal meccanismo di auto-apprendimento, che privilegia una relazione con sé stessi e non con altri soggetti del meccanismo di apprendimento classico. Oggi l’invenzione conta più della scoperta: si apprende sa soli e non tutto quello che si apprende si insegna. E anche tutto ciò che si insegna non sempre si apprende. Quest’ultimo modo di apprendere risulta composto da uno che riceve e da uno che da’, secondo le tre modalità dei contenuti (o temi), dei processi (o modalità) e contesti (o ambiente psico-fisico-relazionale) di apprendimento. E’ sempre un processo eterocentrato.

Il meccanismo di auto-apprendimento ridefinisce invece sostanzialmente il processo di apprendimento e la sua logica sociale. Dalla coppia si passa al piccolo gruppo. Innanzi tutto con l’aula che da luogo fisico diventa luogo psichico, dove può avvenire una triplice modalità di apprendimento (etero ed auto-apprendere): stanza (nozioni-contenuti-informazioni), porta (emozioni-processi) e finestra (relazioni-contesti). L’aula fisica si trasforma in aula psichica. La società dei guerrieri si trasforma in società delle connessioni. La lotta contro … diventa lotta per … Il nemico è da sconfiggere, ma non da eliminare. Esiste un buon nemico e anche un bel nemico. La vittoria, come nelle partite di calcio o nello sport in genere, non porta all’eliminazione del nemico.


Siamo entrati, spesso senza rendercene conto, nell’era delle relazioni. Questo comporta la presenza dei cinque livelli relazionali (non solo due, come nella società dei guerrieri) prima richiamati: duale o di coppia, micro o di piccolo gruppo, macro o di grande gruppo, mega o di comunità-cittadinanza, virtuale o di rete o digitale. Come già accennato i cinque livelli sono intervallati da quattro frontiere o porte di passaggio o interfacce: A: tra duale e micro, B: tra micro e macro, C: tra macro e mega, D: tra mega e virtuale. La conoscenza della dinamica dei livelli o interfacce, comunemente chiamata dinamica di gruppo, ha dato vita a una scienza delle connessioni e delle relazioni, denominata sommariamente schesologia. La schesologia vede il suo trionfo nei motori di ricerca, in google, in facebook ecc. La ricchezza e lo sviluppo si basano sempre di più sulle relazioni. Le quali possono essere continuamente scoperte o inventate. Si scopre qualcosa che esiste anche senza di noi: quello che comunemente viene chiamata l’oggettività. Si inventa invece quello che senza di noi non esiste perché lo inventiamo noi: quello che comunemente viene chiamata la soggettività.

Per esempio qui oggi in Italia nel mondo della scuola e del lavoro, esiste una relazione di base, quella dell’apprendimento: la relazione col mistero, che serve a passare dal noto all’ignoto. Ieri questa relazione era indiretta: occorreva passare dal noto all’ignoto per poter resistere alla tensione del mistero. Oggi la relazione col mistero è diretta e la capacità basilare per apprendere è quella di fronteggiare direttamente il mistero, cioè un ambiente di cui non si sa niente e che è quindi definibile come u-topìa ed u-cronìa, cioè non luogo e non tempo. Dal mistero di cui nessuno sa nulla si passa al segreto in cui alcune persone (o una persona sola) sanno qualcosa e usano questa rarità come mezzo di dominio e di assoggettamento: sapere è potere.

Occorre entrare nel mondo dell’immateriale e fare esempi di utopìa e ucronìa. Utopìa sta nel considerare l’organizzazione come stato d’animo. Sta nel considerare la sicurezza come appartenenza, il clima come origine della struttura, ed anche l’onnipotenza come distinta in immortalità (salute), onniscienza (scuola, apprendimento) e onnipresenza (comunicazioni e trasporti). Sta nel cambiamento dell’utopìa in democrazia.

Queste declinazioni dell’onnipotenza hanno specifiche e interessanti connessioni logiche con il mondo delle funzioni pubbliche: il pubblico si declina sempre di più con l’onnipotenza e i suoi settori.

Ucronìa sta nel possibile aumento e sviluppo dell’orizzonte temporale. Sta nel considerare la bellezza come speranza di un benessere futuro (bellessere). Sta nella continua trasformazione del destino in progetto. Sta nel benessere che diventa progressivamente bellessere, soggettivo e diffuso. Sta nella progressiva riappropriazione del futuro, trasformando la vendetta in perdono, il carcere in scuola, la punizione in apprendimento. Sta nella trasformazione dell’etica in estetica, del kalos kai agazos. Sta nella progressiva trasformazione dell’ucronìa in strategia. Sta nel cambiamento della qualità del potere (inteso come capacità di produrre o impedire un cambiamento) da somma zero a somma variabile, da ripartitivo a generativo, da competitivo a collaborativo. Sta nel passaggio dalla polemologìa o scienza della guerra all’irenologia o scienza della pace. Seguendo l’idea di pace universale di Kant come um-ding, cioè una non cosa, essendo invece la guerra una cosa.


Dall’aula fisica si passa perciò all’aula psichica, che non è più solo una stanza, ma anche una porta e una finestra. L’apprendimento al tempo di face book non è più quello dei banchi di scuola. L’ambiente fisico non è più solo fisico, ma diventa psichico per l’equazione soggettiva che permette. Gli ambienti scolastici e dell’apprendimento devono essere ridisegnati non sul modello di coppia, ma su quello di rete. Facebook perciò non è solo tecnologia, ma è anche clima perché il clima stesso è una tecnologia. E’ un ambiente “psichico”. Facebook insegna e accelera: powerbook ha fatto il suo tempo. Ora servono relazioni nuove per nuovi benessere. E bellessere conseguenti.

L’apprendimento è sempre stato usato come mezzo di assoggettamento. Il radar e internet sono stati inventati e tenuti segreti per scopi bellici. Ed anche il controllo sociale e il dominio dei pochi sui molti è stato basato sull’apprendimento. Quindi si imparavano soprattutto e cose che servivano all’assoggettamento delle masse. I sacerdoti egiziani astronomi, che prevedevano l’eclisse di sole, utilizzavano questa loro conoscenza per terrorizzare il nemico e dare fiducia ai propri guerrieri. A far chiedere agli ebrei di essere appoggiati dal loro “Dio degli eserciti”. Questo uso dell’apprendimento per fini bellici e di assoggettamento si è sempre accompagnato all’uso del malessere, della paura e della minaccia, sempre con finalità di assoggettamento. Possiamo affermare che assoggettamento, malessere e apprendimento sono sempre stati insieme. Questa è stata una vecchia “alleanza” usata dal dominio di tutti i tipi e di tutti i tempi. Da cui l’utopìa e l’ucronìa. Invece oggi, molto lentamente e con enormi difficoltà, si sta instaurando una nuova “alleanza” quella tra apprendimento, benessere e liberazione. Non è più solo la verità che ci fa liberi, ma il benessere. L’uso dell’apprendimento come privilegio proprio e assoggettamento altrui, ha portato nei millenni al rifiuto dell’apprendimento altrui. Quando Francesco De Sanctis divenne, nel 1861, il primo ministro della pubblica istruzione del nuovo Regno d’Italia, gli italiani erano analfabeti per il 78 %. Oggi la situazione è migliorata, ma altre forme di analfabetismo sono presenti (Ad es. informatiche, linguistiche …) nel nostro Paese. Il rifiuto dell’apprendimento altrui come mezzo di assoggettamento è tuttora presente

Quando ci troviamo di fronte alla possibilità di imparare, scoprendo o inventando verità e conoscenza, incontriamo sempre il dilemma del decidere: vero o falso? Buono o cattivo? Bello o brutto? Questo dilemma ci porta lontano. Se decidiamo è fatta. Ma il più delle volte abbiamo difficoltà. Se non riusciamo a decidere e restiamo nel dubbio, entriamo in una contraddizione, una decisione non presa e impossibile da compiere. Ed è grande il disagio di questa decisione non presa. Tanto che in molti casi questa decisione viene rimossa e resa inconscia. E viene denominata conflitto, cioè una contraddizione in tutto o in parte resa inconscia e attiva a livello inconscio. Possiamo intendere il conflitto come una decisione non presa e resa inconscia. Ogni conflitto ha sempre una componente inconscia e dovremmo imparare a trattare i conflitti, dentro o fuori di noi. Se poi i conflitti non si riescono a risolvere, o a rendere coscienti, allora la situazione diventa ancora più difficile perché genera un complesso, cioè una decisione non presa che diventa quasi impossibile rintracciare in mezzo ai labirinti delle lotte e delle decisioni di copertura che ci dominano senza sapere il perché. Quando noi esperti di apprendimento o formatori affrontiamo problemi come vendetta o perdono, potere cooperativo o competitivo, siamo sempre sotto l’influenza di un complesso. Complesso di inferiorità o di altro genere, sempre siamo prigionieri di qualcosa che non conosciamo.

Collegato a questo problema delle decisioni vi è il conflitto tra il pubblico ed il privato. Il pubblico deriva dalla diretta discendenza dal dominio, dal potere sacralizzato dalle molte “religioni di comodo” inventate da tutti i sovrani del mondo. La dimensione pubblica storicamente deriva dalla delega di un sovrano che continua a dominare le masse tramite i propri diretti collaboratori. La derivazione sacra della dimensione pubblica con tutto il trattamento dei territori dell’onnipotenza (onniscienza, immortalità, onnipresenza …) è tuttora presente nella scuola, nella sanità, nelle comunicazioni, che sono appannaggio della funzione pubblica anche oggi e come tali vanno collegate alle dimensioni del potere e alla sua storica derivazione “divina”. Il pubblico non deriva i suoi problemi solo dallo Stato o alla burocrazia, ma anche dalla sua sacralità, dall’origine del potere e dalla finanza come dimensione privata, in lotta col potere divino, dall’invenzione del denaro da parte di Creso di Lidia, sino all’emergere della borghesia come alternativa allo stato feudale, in Francia.


Perché la Gran Bretagna, il Regno Unito come si chiama in inglese, non ha la costituzione? Perché dal 1225 ha la Magna Charta, l’Habeat corpus, il senso di appartenenza a una comunità affidabile. In una parola un sentimento di cittadinanza, di appartenenza a una comunità affidabile. La dimensione pubblica si scontrò con quella privata per finanziare le crociate di Riccardo Cuor di leone, che lasciò il governo dello Stato al fratello Giovanni, detto senza terra che fu costretto a firmare la Magna Charta tra i nobili e vescovi, proprietari terrieri e la Monarchia-Stato. Dal conflitto tra pubblico e privato inglese deriva l’idea di cittadinanza, rinforzata poi in Olanda nel 1600 dall’opera di Hugo de Groot che sostenne il diritto di ogni persona nata nel territorio olandese di poter disporre di una piccola parte dei prodotti di tale territorio. Da qui nacque l’idea di cittadinanza, cioè di un’appartenenza a una comunità basata anche sul benessere e sul piacere e non solo sul malessere e sul dovere. La cittadinanza permette il passaggio dalla società del malessere a quella del benessere. Dalla società dei guerrieri a quella delle connessioni. Da quella della paura e minaccia, sostenuta dalla guerra, a quella della promessa e speranza sostenuta dalla pace.

 

 

 

aprile 2024


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di: Alberto Bortolotti

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