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TESTO DI

Mario Paolo Guidetti

La stampa è libera od in "libertà vigilata"? Adesso siamo anche “sotto osservazione”…

Cara/o Collega,                                                                                                                                  

questo l’interrogativo/riflessione che ci poniamo sovente e dal quale si dipanano alcune riflessioni sui “poteri” che, sintetizzando sono tre: politico, finanziario e mediatico.

Il potere politico, frantumato in mille rivoli, in assenza di statisti con l’S maiuscola non è più in condizioni di condizionate alcunché. Preagoniche qual sono, le “caste” cercano solo di autotulerarsi. Anziché legiferare la depenalizzazione del reato di diffamazione a mezzo stampa, la Commissione Giustizia del Senato aveva votato all’unanimità il 3 maggio 2016 una norma che prevedeva il carcere fino a nove anni per il giornalista che diffama a mezzo stampa un politico, un magistrato o un dipendente pubblico. Dopo la manifestazione dei giornalisti in Piazza Montecitorio, non con barricate o lancio di molotov, l’Assemblea del Senato, decise di “espungere dal testo il riferimento alla diffamazione per evitare polemiche infondate”. “Polemiche infondate”? Nooo;  è il diritto per una categoria, “baluardo della democrazia”, di chiedere la depenalizzazione del reato a mezzo stampa. Mai più un giornalista in carcere, ma qualora non rispettasse il codice deontologico scrivendo falsità, sia sì condannato, ma non al carcere che, “al momento resta di soli 6 anni.                                                                                                                                           Il potere finanziario è il vero potere che condiziona gli altri due, in modo particolare quello mediatico che deve fare i conti per "mettere insieme il pranzo con la cena di giornalisti sottopagati e di testate boccheggianti”

Perché la stampa “è in libertà vigilata”                                                                                     

1. L’editore (e questo è legittimo) condiziona la linea.                                                                                                                   

2. I grandi (e per le testate web, anche i modesti/piccoli) inserzionisti sono simili agli “untouchables”.                                                                                                                                        

3. Le minacce da parte di ‘drangheta, camorra, mafia e altri malavitosi                                                                                                                             

4. La querela per diffamazione.                                                                                                         

5. Le subdole minacce di querele temerarie con richiesta di danni patrimoniali.                                           

6. Gli irrisori compensi ai collaboratori freelance                                                    

 

Mentre, come detto, i legislatori senza Statisti tentano di autotulerarsi, mentre esiste il reato di “omissione di soccorso” non esiste quello di “omissione dell’informazione” né quello di riconoscere un dignitoso compenso ai “Paladini dell’informazione”. Intendiamoci, a volte, una notizia non è scritta perché si “agisce in stato di necessità” Questa è la situazione della maggioranza dei giornalisti italiani, di cui forse sarebbe giunto il momento di parlarne perché, tra poco, questo sistema non sarà più sostenibile.

 

Con animo dolente pensiamo al Pantheon del giornalisti, donne e uomini uccisi da mafie e terrorismo per aver svolto la professione con onore, rispettando il Dovere della Verità.

“Io ho un concetto etico del giornalismo. Un giornalismo fatto di verità impedisce molte corruzioni, frena la violenza e la criminalità, impone ai politici il buon governo. Un giornalista incapace, per vigliaccheria o per calcolo, si porta sulla coscienza tutti i dolori umani che avrebbe potuto evitare e le sofferenze, le sopraffazioni, le corruzioni e le violenze che non è stato mai capace di combattere” - Sono parole tratte dell’articolo di Giuseppe Fava, “Lo spirito di un giornale”, pubblicato l’11 ottobre 1981.  Giuseppe Fava fu assassinato dalla mafia con cinque colpi di pistola alla nuca. Catania; erano le 21,30 del 5 gennaio 1984. Era un nonno che andava a prendere la nipote. Giuseppe Fava era il direttore de I siciliani, un giornale che applicava il principio del dovere della verità denunciando le malefatte della mafia.
Per onorarlo e ricordare sempre quanto ha scritto, la foto di Giuseppe Fava, assieme a quella di Carlo Casalegno, di Ilaria Alpi, di Giancarlo Siani, di Walter Tobagi sono esposte nella sede nazionale dell’Ordine dei Giornalisti. Questa decisione è stata presa perché, come scrisse Montanelli “Un popolo che non conosce il proprio passato, è un popolo senza presente”
Subdoli e innumerevoli sono i tentativi, anche in terra emiliana per tentare di condizionare la libertà di stampa, il dovere dell’informazione. Ma i giornalisti hanno la schiena diritta. Lo hanno dimostrato i giornalisti reggiani Sabrina Pignedoli e Gabriele Franzini che non hanno esitato a denunciare le pressioni subite. Le prime sentenze del “Processo Aemilia” con la condanna dei rei, ha reso loro giustizia. A loro il solidale abbraccio dei giornalisti.

Con sconcerto e preoccupazione, apprendiamo della “Inquietante l’iniziativa della Camera Penale di Modena di mettere sotto osservazione il lavoro dei giornalisti”.  Facciamo nostro il comunicato di Aser, Fnsi, Og Emilia-Romagna e Nazionale

Apprendiamo con grande sconcerto e preoccupazione dell’iniziativa intrapresa dalla Camera Penale di Modena di istituire un osservatorio per monitorare l’attività dei media locali sui temi di cronaca e politica giudiziaria sostenendo che l’analogo Osservatorio nazionale dell’Unione delle Camere Penali, dopo un’approfondita indagine, è giunto alla conclusione che spesso l’informazione “diventa strumento dell’accusa per ottenere consensi e così inevitabilmente condizionare l’opinione pubblica e di conseguenza il giudicante”. A tal proposito, la Camera Penale di Modena fa esplicitamente riferimento al processo Aemilia, in corso da oltre un anno a Reggio Emilia, che per la prima volta ha alzato il velo sulle infiltrazioni mafiose in Emilia-Romagna, per decenni sottovalutate. E lo fa proprio in concomitanza con un’udienza dello stesso processo in cui un pentito ha rivelato che, tra i progetti degli ‘ndranghetisti in Emilia, c’era anche quello di uccidere un giornalista scomodo. Notizia che pare non aver toccato in maniera altrettanto significativa la sensibilità degli avvocati. 
Non è la prima volta che il Sindacato e l’Ordine dei giornalisti sono costretti a occuparsi di intimidazioni, esplicite o velate, fatte a chi si occupa di informare i cittadini sul processo Aemilia. Ricordiamo le minacce in aula ai cronisti reggiani, le richieste dei legali degli imputati di celebrare il processo a porte chiuse, le proteste contro i giornalisti già manifestate da alcuni difensori alle Camere Penali di competenza.
Associazione Stampa dell’Emilia-Romagna (Aser) e Federazione nazionale della Stampa (Fnsi), in accordo con l’Ordine dei giornalisti dell’Emilia-Romagna e con l’Ordine dei giornalisti nazionale, esprimono grande preoccupazione di fronte a un’iniziativa che pare avere sapore intimidatorio. Gli eventuali comportamenti scorretti dei giornalisti sono di competenza del Consiglio di disciplina dell’Odg, al quale qualunque cittadino può rivolgersi per segnalarli. Riteniamo grave e inquietante che i media debbano essere messi sotto osservazione da un organismo composto solo da avvocati e non da tutte le altre parti chiamate in causa dalla decisione della Camera Penale di Modena. Altrettanto grave e intollerabile riteniamo l’affermazione che i media vengano strumentalizzati dall’ufficio del pubblico ministero e condizionino l’imparzialità dei giudici.
Più che di osservatori su chi racconta e su come vengono svelati fatti criminosi sottaciuti per anni in Emilia-Romagna, sarebbe forse opportuno dotarsi di strumenti per mettere immediatamente a fuoco, se non per prevenire, tali delitti.

Il dovere della verità.

Noi non vogliamo dimenticare Giuseppe Fava, Carlo Casalegno, Ilaria Alpi, Giancarlo Siani, Walter Tobagi ed i tanti, tantissimi gli altri giornalisti che sono stati assassinati per avere svolto la professione con onore, rispettando cioè il dovere della verità.
La mafia e ‘drangheta si possono sconfiggere. La società ha gli anticorpi per sconfiggerla. Lo potremo fare se tutti, forze politiche, i nostri Sindaci, le Forze dell’Ordine (alle quali va tutta la nostra gratitudine), la Magistratura sapranno, come è stato dimostrato, essere uniti. Potremo sconfiggerli con una stampa libera, non in “libertà vigilata né (pur legittimamente) <sotto osservazione>”