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TESTO E FOTO DI

Alessandro Maresca

Expo, un lunapark multietnico

Centrato l’obbiettivo economico e raggiunto il numero di visitatori auspicato.

“Nutrire il pianeta, energia per la vita”. Un bello slogan, decisamente. Ma è stato veramente questo il filo conduttore dell’Expo di Milano? La manifestazione, che ha visto la presenza di oltre 20 milioni di spettatori provenienti da tutto il mondo (circa 5 milioni di stranieri, ma sulle cifre non c’è molta chiarezza…), si è chiusa il 31 ottobre fra acclamazioni e polemiche.
Tutti sono usciti dall’Expo soddisfatti di aver partercipato in prima persona a questo evento “universale”. Ma quanti dei visitatori sono veramente riusciti a chiarirsi le idee sul problema della fame del mondo, sulla sicurezza alimentare e su come i vari Paesi stanno lavorando (sempre che lo stiano facendo…) per cercare di risolvere questi problemi?
O piuttosto la maggior parte delle persone ricordano le file interminabili, la fantasia delle esposizioni, gli spettacoli musicali o i menù etnici (per altro spesso a prezzi niente affatto economici)?
Eppure all’Expo non mancavano le aree in cui si faceva il punto su alcune colture o problematiche alimentari, ma sono state quelle meno visitate. I cluster (gruppi) dedicati a riso, cacao e cioccolato, caffè, frutta e legumi, specie, cereali e tuberi, bio-mediterraneo, isole-mare-e-cibo, e agricoltura e alimentazione nelle zone aride, si sono potuti visitare sempre senza dover sgomitare fra la folla anche perché poco pubblicizzati e allo stesso tempo meno “appariscenti” rispetto ai grossi padiglioni del viale centrale (il Cardo) dell’Expo.
In effetti i cluster sono le aree che hanno raccolto soprattutto le nazioni che per scelta o per mancanza di soldi non hanno potuto mettere assieme il proprio padiglione.
Purtroppo, ma forse non poteva essere altrimenti, l’aspetto commerciale ha prevalso su quello culturale e se qualcuno pensava di uscire dall’Expo con in testa qualche “messaggio forte” sul tema dell’alimentazione è rimasto confuso, o magari deluso.
Addirittura alla sera (era previsto un biglietto ridotto di 5 euro a partire dalle 18) l’Expo si trasformava in un grande ristorante-luna park (mentre i padiglioni espositivi chiudevano intorno alle 21) dove mangiare, bere e godersi spettacoli coloratissimi e multietnici fino alla mezzanotte. Ma era questo lo spirito dell’Expo? Forse sì, ma non ne siamo del tutto convinti…
Una cosa è certa, il comparto che è uscito veramente sconfitto dall’Expo è l’agricoltura. Come si fa, infatti, a parlare di cibo e alimentazione senza chiamare in causa il settore che fornisce la materia prima e che si sta rapidamente evolvendo (vedi l’articolo pubblicato recentemente sul San Sebatiano) grazie a tecnologie d’avanguardia ai più sconosciute? E che potevano con successo essere presentate e divulgate nell’ambito dell’esposizione. Se oggi è possibile sfamare sempre più persone, al di là dell’azione politica, è proprio grazie a un’agricoltura che non è più quella della falce e del forcone. Ma quest, dall’Expo, non traspariva.
Era presente infatti (forse per una question di costi o per scelta dell’organizzazione dell’Expo) solo il padiglione di New Holland (Gruppo Fiat), uno dei più grandi produttori di macchine agricole a livello mondiale, che in mezzo a tanti padiglioni “istituzionali” sul tema dell’alimentazione sembrava messo lì quasi per sbaglio…
Viceversa c’è da chiedersi che cosa ci facessero nel contesto di Expo alcuni padiglioni come quelli di McDonald e Coca Cola, due multinazionali che con la fame nel mondo c’azzeccano (come avrebbe detto qualcuno) veramente poco.
È vero che molte aziende che producono mezzi tecnici per l’agricoltura (macchine, fitofarmaci, concimi, sementi…) hanno fatto a gara ad organizzare incontri (spesso ahimè di modesta rilevanza) all’interno dell’Expo ma si è trattato per lo più di incontri riservati agli addetti ai lavori e di scarsa rilevanza mediatica, che si sarebbero potuti tenere in qualsiasi altro auditorium, magari anche più comodo da raggiungere.
Un’eredità comunque l’Expo l’ha lasciata. Si tratta della Carta di Milano (anche di questa abbiamo già avuto modo di parlare nelle pagine del San Sebastiano), una bella dichiarazione d’intenti per i cittadini di tutto il mondo. Chi l’ha sottoscritta, infatti:  «afferma la responsabilità della generazione presente nel mettere in atto azioni, condotte e scelte che garantiscano la tutela del diritto al cibo anche per le generazioni future e s’i impegnano a sollecitare decisioni politiche che consentano il raggiungimento dell’obiettivo fondamentale di garantire un equo accesso al cibo per tutti».
Ma è troppo  facile «lavarsi l’anima» con una firma apposta al documento (sicuramente senza averlo letto e anche per via telematica) senza poi avere la consapevolezza che l’impegno preso è importante e fondamenale non solo per il benessere ma anche per la stessa conservazione di tutto il genere umano.
So di essere stato severo nelle mie affermazioni  ma ritengo che ancora la maggior parte delle persone (e mi riferisco a quelli che sono ancora oggi  sicuri di poter mangiare bene e abbondantemente tutti giorni) sia ancora lontana anni luce dai problemi di chi ogni giorn deve lottare per la propria sopravvivenza.
Un plauso comunque deve andare sicuramente a chi ha permesso lo svolgimento di questa manifestazione in piena sicurezza. L’ambiente dell’Expo, infatti, avrebbe potuto essere utilizzato come vetrina di risonanza mondiale in caso di azioni eclatanti di disturbo (attentati e simili).
Meno buona l’organizzazione delle visite. È vero che gestire una folla enorme come quella che si era riversata nell’Expo non era certamente facile. Ma è anche vero che non mi è sembrato troppo funzionale che i visitatori passassero in coda (stile Gardaland o Mirabilandia ma con tempi di attesa anche più di 10 volte superiori!) più della metà del tempo dedicato alla visita dell’Expo.
È addirittura sconvolgente (e qui torniamo all’effetto luna park) che al padiglione del Brasile ci fossero lunghissime code per accedere a un percorso sospeso su una rete interattiva che collegava i tre piani del padiglione stesso. Camminando sulla rete sospesa i visitatori interagivano con l’ambiente circostante; dei sensori, infatti, rilevavano i movimenti trasferendo impulsi che modificavano il suono e la luce circostante. Allo stesso tempo l’accesso all’interno del padiglione avveniva senza code e con la massima tranquillità anche nei momenti di pienone. Un segno concreto che l’aspetto ludico, anche in questo caso era quello che prendeva il sopravvento…


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