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TESTO E FOTO DI

Matteo Sèlleri

Una storia di San Patrignano

Intervista a Pino di "Sanpa"

Molti di noi conoscono la Comunità di San Patrignano, straordinaria realtà sociale e produttiva adagiata sulle colline riminesi.

Da oltre 30  anni San Patrignano, per tutti Sanpa, accoglie ragazzi e ragazze con gravi problemi di droga senza fare alcun tipo di discriminazione ed offre ai giovani tossicodipendenti una possibilità di recupero attraverso il lavoro, le conoscenze, l’istruzione, insegnando loro un mestiere e contribuendo anche al loro reinserimento nella società.

 

Nella comunità svolgono la loro attività oltre 100 operatori volontari e circa 300 tra collaboratori e consulenti.

Tra queste  400  figure  vi è Salvatore D’Acquisto, da sempre chiamato Pino: 58 anni, da Taranto.

Pino è uno di quei tossicodipendenti che tale non è più, che ce l’ha fatta ad uscire dal baratro, che si è riappropriato della propria vita e della propria dignità: una persona caparbia e buona,  uno che la vita aveva paura di viverla mentre non aveva paura della morte.

Lo abbiamo incontrato.

 

Pino, racconta un po’ di te


Ho vissuto a Taranto. La mia è stata un’adolescenza complessa, insieme ad una famiglia vecchio stampo, tutti in casa, compresa nonna e sorelle della nonna. Ho avuto due fratelli morti negli anni 60,  causa malattie gravi per allora: la sorella a 9 mesi, il fratello quando aveva 11 anni. E’ stato uno shock prolungato per tutti noi, abbiamo sofferto le pene dell’inferno ed io ho vissuto come un figlio unico. La mia formazione è stata contraddistinta da un carattere terribilmente chiuso, tutte le vicende di vita le ho vissute dentro me stesso. E questo mi ha condizionato pesantemente.

 

Quando hai iniziato ad assumere stupefacenti e perché?


Avevo molti amici, andavo a feste, ma ero solo dentro. Nessuno che mi capisse veramente. Ed alle feste ho iniziato con la mia prima tappa, l’alcool. Poi nel 1972, a 17 anni, mentre ero ad un concerto ho iniziato a toccare il fondo e da lì è stata tutta un’escalation.

 

Come ti sei avvicinato a San Patrignano?


Nonostante fossi tossico, vedevo Vincenzo Muccioli in televisione, e questo uomo mi suscitava ammirazione profonda. In lui ed in quello che faceva sentivo una sorta di speranza, di possibilità di riemergere. Avevo amici a Sanpa che mi parlavano di Vincenzo in modo entusiastico: decisi di scrivergli e fui accolto.

 

Quando sei entrato in comunità?


Ebbi il colloquio con Vincenzo alla fine del 1991, quasi vent’anni dopo il famoso – per me - concerto, avevo 36 anni. Non mi fece aspettare molto, perché entrai nel gennaio del 1992. Avevo trovato finalmente qualcuno che mi capiva.

 

Quanto tempo è durato il percorso terapeutico?


Tre anni. Però nell’ultimo periodo prima di concludere il percorso facevo già volontariato ed ogni tanto ritornavo a Taranto, la mia città.

 

Un momento importante che ti piace ricordare di quel periodo?


Alla fine del 1992 morì mio padre. Vincenzo mi diede il permesso d’andare a casa per il tempo che ritenessi giusto, ma dopo due giorni rientrai. Se fossi rimasto un  solo giorno in più non sarei più ritornato a Sanpa. Credo che la forza di ripartire me l’abbiano data in primo luogo mio padre e poi Vincenzo. E’ stato il momento della vera svolta.

 

L’uscita definitiva dalla comunità è avvenuta dopo i tre anni previsti?


Sì, nel 1998, ma per volontà mia. Fare volontariato mi gratificava. A Taranto ho conosciuto Antonella, ora mia moglie, ho ripreso l’attività di edicolante, mi sono sposato e sono diventato padre di una bellissima bambina che oggi ha nove anni.

 

Però sei di nuovo qui, con una veste diversa


Sì, sentivo il desiderio di tornare, di sentirmi utile. Andare a casa con un nuovo animo mi diede la spinta. Ne parlai con mia moglie, la quale  capì e mi assecondò, e ora siamo qui,  noi due come volontari mentre nostra figlia va a scuola nel centro studi.

 

Cosa è cambiato ora rispetto al tuo ingresso di tanti anni fa?


Come struttura, moltissimo, c’è stata una evoluzione positiva enorme. Come ospiti la differenza è sostanzialmente questa: quando sono entrato io i ragazzi venivano tutti dalla strada, molti dalla galera, erano straccioni, eroinomani, sfatti e disperati. Oggi invece pochi vengono dalla strada o dal carcere, sono quasi tutti cocainomani o dipendenti da anfetamine e altri intrugli.

 

Cosa fai oggi a Sanpa?


Sono responsabile del settore coltivazione: orto, ulivi, fiori e vivaio. E con me lavorano più di 30 ragazzi ospiti.

 

Come è cambiata la tua vita?


In meglio, non c’è paragone: sono cambiato quando ho preso consapevolezza che dovevo lavorare su me stesso. Faccio quel che desidero, sono con la mia famiglia, sono circondato da un’umanità inimmaginabile. E sono felice.

 

Chi senti di ringraziare?


Sicuramente e prima di tutti, Vincenzo Muccioli. Poi Mario Monaco (il responsabile della cantina), perché mi ha rigirato come un calzino facendomi tirar fuori tutto quello che non avevo detto in 36 anni di vita,  mia moglie e mia figlia. E tutta Sanpa, che mi ha sempre tenuto le porte aperte.

 

Ti senti tosto? Quanto e perché?


No, voglio continuare il lavoro su me stesso, stare con la mia famiglia e perché stare  con i ragazzi di Sanpa mi dà energia, soddisfazione e mi aiuta a continuare a dimostrare a me stesso che si riesce ad uscire dal buio. Perché la solidarietà è fondamentale per vivere bene.

 

 

Un personale e sincero ringraziamento a Matteo e Federica dell’Ufficio stampa di San Patrignano.