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TESTO DI

Vincenzo Zagà

Evitare le strette di mano negli ospedali per ridurre le infezioni

La rivista medica Jama lancia un appello affinché il saluto scambiato tra personale sanitario e pazienti venga vietato. Sarebbe il primo veicolo di diffusione di batteri e virus in corsia

Storia del lavaggio mani in ambito sanitario


La prima intuizione l’ebbe nel 1847 Ignác Fülöp Semmelweis (Budapest, 1818 – Vienna 1865): le mani sporche sono un veicolo di malattie, specie all’interno degli ospedali. L’intuizione del medico ungherese, che oggi gli vale l'etichetta di genio, allora gli costò l’inimicizia dei colleghi e di gran parte del mondo scientifico, che non credevano alla sua teoria e lo ritenevano piuttosto un visionario tanto da perdere il lavoro e finire in manicomio dove rimase fino alla morte, nel 1865. 

 

“E’ il medico che fa ammalare le pazienti”, fu la conclusione del dottor Ignaz Philipp Semmelweis. La sua osservazione per quanto empirica si rivelò talmente giusta che bastò che Semmelweis imponesse agli studenti una scrupolosa pulizia delle mani e  la disinfezione con un antisettico, per far crollare di colpo l’indice di mortalità dovuto a febbre puerperale, nel reparto da lui diretto, dal 12,2% allo 0,5%, contro il 33% del reparto viennese diretto dal professor Klein, che all’epoca era ormai tristemente nominato “La Clinica della morte”. E per questo motivo Semmelweis fu soprannominato il “salvatore delle madri”. Infatti erano tempi in cui studenti, infermieri e medici non usavano i guanti e passavano dalla sala delle autopsie alla sala parto o in sala chirurgica senza mai lavarsi le mani. 

 

Ferdinando Von Hebra (Brünn, 7 settembre 1816 – Vienna, 5 agosto 1880) caposcuola della Wiener Schule der Dermatologie (Scuola viennese di Dermatologia), riferendosi all’incomprensione del mondo medico e scientifico verso l’intuizione di Semmelweis, disse: “Quando si farà la storia degli errori umani, difficilmente si potranno trovare esempi di tale forza. E si resterà stupiti che uomini competitivi e altamente specializzati, potessero, nella propria scienza, rimanere così ciechi e stupidi”.

 

L’inchino al posto della stretta di mano


Il mancato lavaggio delle mani costituisce il primo fattore di rischio di trasmissione delle infezioni in ambito ospedaliero, tanto che di recente l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha promosso una giornata mondiale dedicata proprio a questo specifico problema. E il problema non riguarda soltanto il personale ma anche le persone che vengono a contatto con i pazienti, oppure con suppellettili o altro, attraverso cui ci può essere trasmissione di germi ospedalieri verso l’esterno e viceversa. Sebbene la consapevolezza del problema delle infezioni appaia abbastanza diffusa tra il personale sanitario, tuttavia l’applicazione scrupolosa dei programmi di lavaggio delle mani è talvolta trascurata; e i dati dimostrano che in molti Paesi Occidentali, inclusa l’Italia, non vi sono standard di lavaggio delle mani ottimali.

 

Al fine di limitare la diffusione delle infezioni riducendo il pericolo contagio mano-mano non solo tra personale sanitario ma soprattutto tra personale sanitario-paziente-familiare di paziente, Mark Sklansky dell'Università della California propone in un editoriale pubblicato dalla rivista Jama un’idea che può apparire bizzarra ma sicuramente efficace: sostituire la classica stretta di mano, veicolo ideale per la trasmissione di diversi germi, compreso il Clostridium difficile, uno dei più temuti negli ospedali, magari con un inchino, spingendosi a proporre zone degli ospedali in cui è vietato stringersi la mano. Per quanto possa apparire un’idea alquanto bizzarra, va ricordato che molti studi hanno già dimostrato che le mani, attraverso la stretta di una mano, sulla quale magari una persona ha starnutito, sono un veicolo ad alto rischio di provocare infezioni.

 

Apparentemente la consapevolezza del problema delle infezioni appare abbastanza diffusa tra il personale sanitario, ma una cosa è la consapevolezza e un’altra è l’applicazione scrupolosa dei programmi di lavaggio delle mani; e i dati dimostrano che in molti Paesi Occidentali, inclusa l’Italia, non vi sono standard di lavaggio delle mani ottimali.


I risultati che si potrebbero ottenere sarebbero significativi. Infatti eliminare il contagio attraverso le mani, porterebbe a un abbattimento del 20% delle infezioni in ospedale; servirebbe poi diffondere una gestione corretta dei cateteri urinari e di quelli vascolari, oltre a una maggiore attenzione per identificare precocemente le infezioni stesse. Sostituire quindi con l’inchino giapponese la stretta di mano.

Esattamente, suggerisce Sklansky, come si è fatto per il divieto di fumare, bandito dagli ospedali per colpa dei rischi del fumo passivo, ci si dovrà abituare al “vietato stringere la mano”, grazie ad appositi segnali che indichino in quale luogo è bene evitare, soprattutto nei reparti, vicino alle sale di medicazione, alle sale operatorie ed endoscopiche, ecc.

 

Insomma una “nipponizzazione” del saluto in ospedale potrebbe migliorare la qualità di vita dei pazienti se non addirittura, in alcuni casi, allungare la vita stessa evitando infezioni difficili da trattare. Certo non sarà facile cambiare una abitudine millenaria, soprattutto per noi neolatini, come quello della stretta di mano, e sicuramente non sarà facile i primi tempi abituarsi, ma chissà che alla fine non sia anche questa la via giusta, peraltro a costo zero, per migliorare l’igiene e la salute della collettività!