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TESTO DI

Stefano Gruppuso

Sulla fusione fredda un importante appuntamento

Negli stati uniti la prossima estate

Vita tormentata per la fusione fredda, ma una Conferenza internazionale di sei giorni programmata per la prossima estate nell’Università del Missouri Columbia (USA) promette risposte chiare (forse) alle tante aspettative suscitate.

Annunciata nel 1989 in un’affollata conferenza stampa da Pons e Fleishmann, due scienziati dell’Università americana di Salt Lake City, nello Utah, la notizia della fusione fredda fece rapidamente il giro del mondo. L’esperimento raccontato dai due chimici descriveva un fenomeno di fusione nucleare a temperatura ambiente in una soluzione di acqua pesante, un filo di platino e uno di palladio. Una cella così costituita dava in uscita più energia di quella che riceveva. Una vera notizia bomba per la scienza. Le sue prevedibili ricadute economiche e sociali la caricavano poi di una speranza quasi messianica: la fine dell’era del petrolio e l’aprirsi, finalmente, del tempo dell’energia a basso costo e a inquinamento zero.

Giornali e televisioni vi dedicarono ampi servizi.

Ben presto, sotto il ripetersi di stringenti controlli scientifici fatti da laboratori di ricerca e prestigiose università, controlli dai quali scaturivano più dubbi che certezze, la speranza diventava sempre più evanescente e cresceva invece la convinzione che il fenomeno annunciato fosse null’altro che una gigantesca bolla mediatica.

 

La comunità scientifica internazionale era nel caos. C’era chi riteneva la scoperta una bufala se non proprio una truffa, chi non volendo abbandonare l’idea della fusione fredda cercava altre strade, sostituendo materiali, modificando parametri o il contesto dell’esperienza e chi, fedele alla descrizione originaria si rodeva il cervello nel tentativo di trovare le cause della non riproducibilità del fenomeno sospettando anche complotti da parte delle multinazionali del petrolio.

Ma, al di là delle contestazioni sempre più prevalenti, grandi industrie private, come la giapponese Mitsubishi, l’americana Energetics, la francese EDF e l’italiana Pirelli Labs decidevano senza troppo clamore di approfondire le ricerche investendo discrete risorse sulla fusione fredda. Anche istituti di ricerca, pur con meno enfasi degli anni iniziali, hanno continuato a dedicare tempo e impegno alla fusione fredda. Tra questi le strutture italiane dell’Enea, dell’Infn e gruppi di ricerca delle università di Bologna e Pisa.

 

Oggi, a oltre 24 anni dall’annuncio sono stati fatti importanti passi in avanti nella comprensione del fenomeno, ma nessuno è risultato decisivo soprattutto riguardo alla sua riproducibilità.

Tra gli altri un ingegnere italiano, Andrea Rossi, nel suo blog ha recentemente dichiarato che ha venduto da alcuni mesi a un ente militare tenuto segreto un impianto da 1 MegaWatt. L’unità venduta non è ancora commercializzabile perché priva della necessaria certificazione. Quest’ultima, secondo l’ingegnere, dovrebbe però arrivare entro due o al massimo tre anni.

 

Le perplessità tuttavia permangono e sembrano ridimensionare le aspettative. Le opinioni degli scienziati divergono, oscillando tra la fiducia che prima o poi si dimostri l’applicazione industriale del fenomeno e coloro, più scettici, che pensano sia un obiettivo non raggiungibile.

Nell’intento di fare il punto sulla situazione l’Università del Missouri Columbia, in Missouri, ha organizzato un importante appuntamento internazionale. Dal 21 al 27 luglio 2013 l’università americana ospiterà la 18esima Edizione dell’ICCF (International Conference on Cold Fusion) alla quale parteciperanno i più quotati scienziati del settore. Le attese sono molte. Presumibilmente, dicono gli esperti, la discussione sarà aspra, ma è certo che il confronto si concentrerà sugli ultimi dati sperimentali e non su teorie da dimostrare.